Un Soldato torna a casa per una licenza, il Diavolo lo blandisce e gli sottrae il violino in cambio di un libro che realizza ogni desiderio. Tre giorni di sogni fatti realtà, solo tre giorni, ma quando il Soldato, senza il violino, arriva a casa, sono passati tre anni e la sua donna si è sposata. A che serve il denaro senza affetti? Tornato povero, il Soldato riprende la strada del profugo, arriva nella terra governata da un re la cui figlia, malata, sposerà chi riuscirà a guarirla. Il Soldato ha di nuovo il suo violino, riconquistato al Diavolo con vodka e astuzia. La Principessa è sedotta, danza un tango, un valzer e un ragtime, e cade fra le sue braccia. Sembra l’epilogo bello di una fiaba. Ma quando i due giovani si metteranno in strada per raggiungere la patria del Soldato, il Diavolo li aspetterà all’incrocio del destino per riprendersi violino e anima, e al Soldato non resterà che seguirlo a capo chino.
Questa la trama dell’opera da camera composta da Igor Stravinskij nel 1918 su testo dell’amico Charles-Ferdinand Ramuz. É evidente un’osmosi tra i tratti biografici, autobiografici, storici ed estetici che si sommano nella gestazione di questo lavoro dalla forma peculiare e le innumerevoli esplorazioni che ne hanno indagato le concause confermano il suo successo duraturo. In fondo – come ha suggerito il regista Peter Sellars – L’histoire du Soldat è l’opera di un profugo sul tema dell’essere profughi.
«Ho concepito la prima idea dell’Histoire du Soldat nella primavera del 1917 – racconta Stravinsky – ma non ho potuto approfondire quell’argomento perché intento alla stesura de Les Noces e a realizzare un poema sinfonico da Le Rossignol. Il pensiero di comporre uno spettacolo drammatico per un teatro ambulante m’era venuta parecchie volte alla mente fin dall’inizio della Prima Guerra Mondiale. Il genere di lavoro cui pensavo doveva esigere un organico di esecutori semplice e modesto al punto da permettere una serie di allestimenti in una tournée nelle piccole cittadine svizzere, ed essere altrettanto chiaro nel suo intreccio in modo che se ne afferrasse facilmente il senso. Il soggetto mi venne dalla lettura di quella novella di Afanasiev che racconta del soldato e del diavolo […] soltanto lo schema del lavoro è da attribuirsi ad Afanasiev e a me, perché il testo definitivo è opera di Ramuz, mio grande amico e collaboratore, a fianco del quale lavorai attentamente, traducendogli riga dopo riga il mio testo».
Ebbe ‘la prima esecuzione assoluta’ non nella piazza di un villaggio ma all’Opéra di Losanna, un’elegante sala con palchi e gallerie nel settembre 1918, a guerra terminata. Destino volle che una delle idee che hanno reso celebre e garantito il successo duraturo e pressoché permanete all’histoire, ovvero quella di essere allestita in un vagone o baraccone viaggiante, sia stata superata a favore dal tradizionale luogo dedicato agli spettacoli colti.
«La scelta degli strumenti per L’Histoire fu influenzata da un importantissimo evento della mia vita in quel periodo: la scoperta del jazz americano… L’organico si richiama a quello della banda jazz in quanto ogni famiglia strumentale – archi, legni, ottoni, percussioni – è rappresentata dai suoi estremi, nel registro acuto e nel registro basso. Inoltre gli stessi strumenti venivano impiegati nella musica jazz, eccetto il fagotto, che, secondo me, stava per il sassofono». Le parole di Stravinskij ci riportano la grande attrazione che il compositore vede nascere per gli strumenti e gli idiomi della musica d’oltreoceano, ma nel 1918 dove poteva aver ascoltato musica jazz?
«La conoscenza che io avevo del jazz – ammette Stravinsky – derivava soltanto da letture occasionali di fogli pentagrammati di questa musica. Non avendo mai potuto ascoltare il jazz improvvisato o suonato dal vivo, ero però in grado di assimilarne lo stile ritmico, così com’era scritto pur se non come veniva eseguito. Ero in grado di immaginarmi il suono del jazz, comunque, o almeno mi compiacevo di pensarlo. Il jazz significava comunque un insieme di sonorità del tutto nuove nella mia musica, e L’Histoire segna la mia definitiva rottura con la produzione della scuola sinfonica russa».
(testo ricavato dal sito della Associazione fiorentina Filharmonie)